20120228093742_dsc_0001Sabato, dodici luglio duemilaotto. È il grande giorno. Il ritrovo è fissato alle ore 04:30, a Malpensa, ed alle 04:15 arriviamo, addirittura in anticipo, al punto prestabilito d’incontro. Troviamo ad attenderci già 4 delle 14 persone che ci accompagneranno in quest’avventura: altri 6 dovrebbero arrivare a breve, mentre gli ultimi 4 li direttamente a Marsa Alam, dove sono già da una settimana in vacanza.

Arrivate le persone mancanti, ritirati i biglietti e fatto il check-in inizia l’attesa per l’imbarco: una rapida colazione, un giretto nel duty free e siamo già sulle scale dell’aereo pronti a prendere il volo per quella vacanza sognata fin dalle buie e fredde giornate invernali, quando, con la neve che s’infilava bastarda nel giaccone, ero stata all’agenzia per confermare la riservazione. L’atmosfera é fatta di chiacchiere e risate, allegre e scanzonate, tipiche di chi sta per lasciarsi alle spalle tutto e tutti per una settimana. In aereo, dopo il solito panico iniziale dovuto al decollo (ma ci sono quasi abituata ormai) mi lascio andare al viaggio della mente immaginando ad alta risoluzione il momento tanto agognato ma sempre piú vicino, in cui attraverserò finalmente il confine con gli abissi del Mar Rosso. Dal finestrino si vedono scorrere lande sabbiose e desolate: è deserto, è l’Egitto. Uno scorcio di Nilo, e poi ecco il mare, che placido (si spera) ci attende per ospitarci sulle sue acque una settimana.

L’impatto con l’aria egiziana di Marsa Alam è di quelli da mozzare il fiato, ma per il caldo: da sciogliersi sulla soglia dell’aeroplano. Per una frazione di secondo mi sono sentita star di un film avventuriero a scender quella scaletta tra le eterne sabbie e verdi (?) palme di quest’aeroporto in mezzo al nulla.

Dopo una fila quanto mai lunga e disordinata per il controllo doganale, finalmente saliamo sul bus che ci traghetterà al porto, che piú che un porto è un attracco collettivo di barche in rada. Di banchine, pontili e tutto quanto fa di un porto un Porto, neanche l’ombra. Il trasferimento in nave avviene in gommone, e mentre da un lato prego che i bagagli non cadano in mare, dall’altro mi gusto la prima leggera brezza marina, generata più che altro dallo sfrecciare a pelo d’acqua, ma che senz’altro da un po’ di sollievo.

20120228095440_dsc_0003Una volta a bordo viene servito il pranzo e, dopo una rapida istruzione sui regolamenti di bordo e d’immersione, scopriamo che dovremo attendere l’indomani per partire, causa controlli doganali (ancora?!) e cosí la giornata va pian piano a morire in un sole infuocato che cala dietro le rosse dune di questo misterioso deserto, mentre dalla vicina moschea giungono canti e preghiere rivolte alla Mecca, ad Allah. È già un altro mondo.

Il giorno seguente, dopo colazione la nave finalmente molla gli ormeggi e si parte: rotta a sud, destinazione Saint John’s Reefs. Ci vorranno circa 10 ore di navigazione per giungervi, ma già in giornata avremo occasione di fermarci per fare qualche immersione strada facendo.

20120228095515_dsc_0004Il tempo è bello, fa caldo ed il mare è una tavola. Ne approfitto subito, piazzandomi sul sun deck a prendere il primo sole della stagione, cosparsa di crema protezione 20. L’I-Pod detta il tempo al leggero rollare della nave. Relax completo, si sta davvero bene. Dormicchio un po’, e poi arriva, implacabile, il suono acido della Campana che risveglia tutti dal torpore generale e richiama all’ordine. È l’ora del primo briefing pre-immersione. La nave, mi accorgo solo ora, sta attraccando presso di un reef chiamato Erg Wadi Jimal. Non ho mai visto niente di simile, niente: dal nulla, dal perfetto blu affiora un’area cilindrica di mare meno profondo, che sfuma dal blu al verde chiaro fra i bagliori dorati della luce solare. Già dal ponte della nave si intravedono forme colorate che si muovono fugaci al di sotto della superficie. Poco piú in là, fa capolino un’altra area cilindrica, leggermente staccata dalla prima. Come illustra la guida questo reef è composto da due torrioni che, partendo da un fondale sabbioso di venti metri, arrivano fin quasi in superficie. Intorno ad essi sorgono altri piccoli torrioni, piú fondi e che non si vedono dall’alto. Inizia il rito della vestizione: bombola con rispettivo jacket ed erogatore sono già montati, e cosí rimarranno per il resto della settimana, non resta quindi che infilare la muta, caricarsi in spalla il jacket, munirsi di maschera e pinne e tuffarsi. Decido di non portare la macchina fotografica per questa prima immersione, meglio ambientarsi e godere di quanto il mare avrà da offrirmi senza altri pensieri se non quello di lasciarmi stupire.

20120229095332_dsc_0033La varietà di pesci promessa dalla guida, José, sembra buona, ma d’altro canto qualunque cosa è buona per me, visto dove abitualmente faccio le mie immersioni. Ora peró le verdi acque lacustri sono solo un lontano ricordo: è il profondo blu che mi aspetta. E questo blu mi avvolge, mi fa volare, mi trascina dentro esplosioni di colori mai visti prima, è tutto un giostrare di pesci e coralli, basta voltare il capo in una direzione piuttosto che un’altra e subito qualcosa di nuovo si palesa davanti ai miei occhi: strani pesci detti scoiattoli ci guardano attoniti dalla loro grotta, poco più in là una murena fa capolino da un buco, mentre una razza fa la sua siesta pomeridiana fra le sabbie del fondale, acquattata sotto una roccia. Sono trascorsi meno di venti minuti e già mi sono innamorata di questo posto. È una meraviglia per gli occhi, per lo spirito, per l’anima. Nel mio ancora breve viaggio di scoperta del mondo sommerso, questo é già il luogo in cima ai miei desideri; nulla sarà più uguale dopo perché nulla è paragonabile a questo, un’immensa fucina di creazioni colorate e meravigliose.

Una volta riemersa, dopo una rapida doccia per togliere il sale di dosso, la Campana suona ed è l’ora di pranzo. Nel pomeriggio, mentre la nave s’invola verso il Tropico del Cancro, siesta fin quasi alle 17, quando a risvegliare tutti dalle pennichelle in corso per chiamarci al briefing ci pensa ancora quella che, ormai abbiamo capito, sarà compagna fedele di questo viaggio, divenendo un’entità a se stante: la Campana.

20120229093611_dsc_0025Seconda immersione, al reef di Gotha El Baher. Stessa procedura di prima, briefing con disegno abbozzato di José (lo prendiamo già in giro, per le sue scarse velleità artistiche) su di una lavagnetta, vestizione e tuffo. Stavolta la macchina foto c’è, e cosí comincio a giocarci un po’. Come immaginavo, me la godo meno, presa come sono a scattare qua e là, cambiare impostazioni, riprovare gli scatti e via dicendo, ma sono fiduciosa, migliorerà. Scatto qualche foto al mio buddy, ai coralli, cerco di giocare un po’ sulle angolazioni e sulle prospettive, di contrastare il rosso fuoco con il blu profondo. Qualcosa esce. Sui pesci, mi concentro poco stavolta.

La terza immersione della giornata (dopo esser stati risvegliati ancora una volta dalla Campana) la facciamo ancora a Gotha El Baher, ma in notturna. Niente macchina fotografica, voglio godermela tranquilla ed avere solo la torcia da gestire. Me ne pento quasi subito: adagiato su di una roccia intravedo un bel nudibranco di color blu e bianco, microscopico, con il quale un macro ci stava tutto. Niente, quello è l’unico che vedrò in tutta la vacanza, peccato.

La prima giornata è andata, con tre immersioni, tre pasti, tre sieste e la Campana. Prima notte sul mare che col suo lento ed inesorabile movimento dolcemente mi culla fino ad addormentarmi. Nottetempo navighiamo per giungere al reef di Abil Aly, Saint John, dove l’indomani, ore 06:00 faremo la prima immersione della giornata.

Lunedì 14 luglio, ore 06:00.

Campana. Il primo suono della giornata non è piacevole.

Giù dal letto, dall’oblò della cabina vedo che fuori albeggia. Ennio ha passato una nottataccia a causa di un brutto mal di testa, non è sicuro di immergersi, ma alla fine cede: sta meglio ed il richiamo dei fondali colorati si sente, è forte.

Briefing in sala comune con i temerari che hanno affrontato la levataccia, dall’approssimativo disegno si capisce che il reef questa volta è costituito da un unico immenso cilindro che sale da un fondale di circa 40 metri. Faremo prima la parete Ovest, e poi in tarda mattinata, la parete Est.

Qualcuno avvista degli squaletti, io mi accontento di coralli, gorgonie, anemoni e la solita infinità di pesci di barriera: chirurghi, angeli imperatori, farfalle bandiera, anthias e via dicendo. La miriade di colori attorno a me ancora mi impedisce di concentrarmi appieno alla ricerca di forme di vita piú rare o particolari.

20120229092744_dsc_0013La terza immersione di giornata la facciamo nel tardo pomeriggio, in un reef chiamato Dangerous Reef anche se di pericoloso non sembra avere proprio nulla. Una gran bella immersione, condita da un pesce chiamato Titano Balestra (che si rivelerà qualche immersione più in là protagonista di un allegro siparietto), da una razza chiamata Trigone Maculato e poi finalmente, che li aspettavo davvero tanto, dai miei amati Pesci Pagliaccio! A fine immersione riemergo soddisfattissima, soprattutto per l’incontro nella fase finale coi pagliaccio, ai quali ho riservato un servizio fotografico da prima pagina.

Dopo cena, quattro chiacchiere sul ponte ed una birretta. Non resisto molto peró, mi ritiro in cabina e crollo quasi immediatamente in un sonno profondo e ristoratore.

I giorni successivi volano, il ritmo ormai è acquisito: campana – sveglia – immersione – campana – colazione – siesta – campana – immersione – campana – pranzo – siesta – campana – immersione – campana – cena – siesta, cosí la vita in barca scivola via dolcemente, portando con se le miriadi di emozioni vissute in questi giorni, immersione dopo immersione. Di sera leggo, o scrivo, annotando pensieri o appunti della giornata appena trascorsa, e se mai si poteva pretendere qualcosa in piú da questa già splendida vacanza, quel qualcosa è arrivato, rendendola sostanzialmente immortale.

Martedì ci immergiamo, nell’ordine ad Abil Gaafar (ore 08:00), a Shaab Mahrus (ore 12:00) ed a Shaab Aid (ore 20:00, in notturna), ma i giorni che rimarranno impressi a fuoco nella mia memoria sono Mercoledì e Giovedí. A parte le ovviamente splendide immersioni (Shaab Farag e Abil Saalah mercoledì, Shaab Maksun, Sha’ab Claudio e Waadi Jimal South giovedì), abbiamo fatto tappa per ben due volte a Sha’ab Sataya, dove inizialmente mercoledì era prevista un’immersione tardo pomeridiana, ma che dopo il primo avvistamento di delfini in zona è ovviamente saltata per dedicarsi ad un piú avventuriero inseguimento.

20120229093728_dsc_0026Ma cominciamo dal principio. Dopo l’immersione ad Abil Saalah in tarda mattinata, siamo ancora bell’è seduti a tavola per finire il pranzo quando entra José in sala comune ed al grido di “Delfini a prua!” sedici persone mollano sul colpo le vettovaglie per fiondarsi sulla punta della nave ad ammirare lo spettacolo annunciato. Inizialmente si intravedono appena all’orizzonte, sagome lucenti di acqua e sole. Poi, con rapide manovre di avvicinamento, il capitano porta la nave in zona ma una volta giunti sul posto i nostri amici pinnati sembrano spariti nel blu. Continuo a scrutare il mare, quando un guizzo cattura il mio sguardo a sinistra, poi un altro a destra… Delfini! Si sono allineati alla nostra nave e giocano saltando sulle onde generate dal suo movimento! È un’emozione di proporzioni enormi, io che avevo visto i delfini solamente al parco acquatico, ho la pelle d’oca nel vederli cosí vicini, mentre sfrecciano ora sotto la superficie dell’acqua e un attimo dopo con un balzo trafiggono l’onda, rituffandosi subito nel blu. Macchina fotografica alla mano riesco a scattargli anche qualche foto e poi fugaci come sono arrivati se ne vanno, sparendo nelle profondità marine. Con il cuore ancora palpitante ritorno all’attività del dopo pranzo: la siesta.

20120229094049_dsc_0027Verso metà pomeriggio giungiamo a Sataya, e mentre gli altri valutano se fare o meno l’immersione io esco un po’ sul vicino reef in snorkeling. Mezz’oretta dopo un’altra dose di colori, esco, ma non faccio a tempo a riporre le cose: “DELFINI” urla qualcuno, ed un gommone è già pronto a partire per portarci nella zona di reef dove sono stati avvistati. Il primo avvicinamento è brusco, gli arriviamo vicini ma non troppo, ci gettiamo in massa in acqua facendo casino per la bramosia di vederli e quelli spariscono. Nuotiamo cinque minuti nei dintorni, sperando di rivederli, ma niente. Sono senza pinne, faccio più fatica degli altri che sono davanti a me. Il gommone viene a raccattarci, ed una volta su li cerchiamo con lo sguardo. Niente. Si rientra un po’ scornati in barca. Pochi minuti dopo, di nuovo un avvistamento, si riparte. Stavolta entriamo in acqua con calma, e finalmente eccoli: li intravedo un po’ lontani, forse 10 metri, nuotiamo nella loro direzione, tento qualche scatto, ma dopo poco spariscono di nuovo. Dal gommone li cerchiamo, ma non si vedono piú. Rientriamo definitivamente in barca, guardo le foto: mezzo delfino è uscito. Argh! Sono al settimo cielo per averli intravisti in mare, ma che peccato per la foto!

20120229094150_dsc_0028Il giorno seguente, dopo l’immersione mattutina a Shaab Maksun e prima di recarci a Shaab Claudio, torniamo per una breve capatina a Sataya. Arriviamo ed ancora una volta si leva in aria il grido “DELFINI!”, ancora una volta ci fiondiamo fuori in gommone (io semi vestita ma sempre macchinafoto munita e questa volta anche pinnata). Li avviciniamo, siamo a meno di un metro, cerchiamo di tuffarci il più delicatamente possibile, e una volta in acqua non faccio a tempo a ficcare la testa sotto la superficie che sento provenire da ogni dove il tipico canto dei delfini. Sono lì intorno, li vedo nitidamente transitare in gruppo davanti a me, scatto fotografie a piú non posso, nuoto un po’ con loro e poi pian piano sfrecciano via. Saltiamo sul gommone e li inseguiamo, per poi tuffarci di nuovo con loro. Sono frazioni di secondo, ma sembrano un’eternità. Qualcuno tenta di raggiungerli per sfiorarli. Facciamo su e giù dal gommone diverse volte (e alla fine della giornata non si conteranno i graffi), siamo tutti in estasi. L’emozione é papabile, si sente vibrante nell’aria… aver avuto il privilegio di nuotare un po’ coi delfini in mare è qualcosa che non dimenticherò mai: non mi aspettavo potesse succedere e per questo è stato ancora più bello.

L’ultimo giorno di immersione – ahimé – è arrivato: venerdí ormai in fase di rientro al porto ci immergiamo al reef Gotha Sharm per due volte, ed è durante la prima dove ho scoperto che il Titano Balestra è un pesce da lasciare in pace… io ho tentato l’avvicinamento con tutte le buone intenzioni ma questo, evidentemente incazzoso, mi è venuto contro fermandosi a meno di un metro da me e mostrandomi i simpatici dentini di cui è dotato… Dopodiché me la sono svignata, preferendo fotografare i miti ed innocui pesci pagliaccio.

Un paio d’ore di pausa e siamo di nuovo in acqua, per quella che sarà l’ultima immersione della vacanza. Un velo di nostalgia si fa già sentire, al pensiero di dover abbandonare quei fondali, quei colori, quella vita: avrei voluto che il manometro si fermasse a 200 bar, per non permettere al tempo di finire, per cristallizzare quegli ultimi momenti nell’eternità. Purtroppo cosí non è, e mentre di malavoglia torno in superficie per riprendere definitivamente la via di casa, mi giro un’ultima volta verso il reef che maestoso sorge dal profondo blu e lo saluto con la mano, come si faceva da bambini.

20120229095629_dsc_0037La sera, ormai al porto in attesa di essere sbarcati sabato mattina, ho negli occhi e nel cuore gli splendidi ricordi che questa favolosa vacanza ha lasciato, insieme ad un’incredibile voglia di riavvolgere il nastro del tempo, per tornare ancora al primo giorno. Vedo scorrere tutti i meravigliosi momenti trascorsi insieme ai miei compagni d’avventura, e la speranza più sincera è quella di poter quanto prima rifare un’esperienza simile

Il sole tramonta ed il seducente mare si colora di mille riflessi dorati: volgendo lo sguardo verso quell’immensa superficie di quiete apparente, lucida e scintillante, che riflette il mondo esterno come a voler celare ancor meglio i propri sommersi segreti, sento di essere stata privilegiata per averne potuto scoprire un’infinitesima parte.

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